Il benessere psicologico sul lavoro non è un dato scontato, anzi. Studi e ricerche recenti hanno evidenziato quanto può essere tossico l’ambiente professionale evidenziando un nuovo fenomeno, lo straining. Fase successiva al “classico” stress e differente dal mobbing, lo straining è l’accadimento di un episodio negativo, come un demansionamento, che ha ripercussioni su tutto il lavoro e sopratutto a livello psicologico perché non ha vie d’uscita.
Straining, da dove nasce il nuovo fenomeno
Coniato dal professor Harald Ege, il termine “straining” ha una fortissima assonanza con lo “stress” ma nella pratica indica una situazione che va oltre il classico stress: «In realtà i due termini sono sostanzialmente diversi: il termine straining oltre a poter essere utilizzato solo in ambito lavorativo, è una forma particolare di stress dovuta a vari fattori, quali l’isolamento, l’eccesso o la mancanza di lavoro da svolgere, la decadenza della qualità del lavoro» spiega la dottoressa Rita Gnuva, Psicologa di MioDottore.
Questo fenomeno, coniato recentemente, è emerso durante una ricerca realizzata da Simulus Italia, società di consulenza specializzata nel benessere psicologico nei luoghi di lavoro, e ha coinvolto 8572 persone che lavorano in 59 aziende italiane differenti, occupando differenti livelli professionali. Tra i punti critici emersi da questa ricerca, c’è appunto questo nuovo fenomeno e che si manifesta quando la vittima subisce una o più azioni che hanno effetti permanenti a livello professionale, causando quindi stress. La vittima si sente quindi non valorizzata rispetto alle sue competenze e doti ma soprattutto in una posizione di inferiorità rispetto allo strainer, cioè a colui che ha attuato questa pratica, non solo per un eventuale problema gerarchico ma perché si trova in una posizione di svantaggio che non la mette in grado di porre fine alla situazione. Discriminando così la persona.
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Strainning o mobbing? Cosa cambia
Quali sono le differenze tra lo straining e il mobbing? «I due fenomeni sono sostanzialmente diversi. Nel mobbing vi sono più atti discriminatori, anche di natura diversa, reiterati nel tempo. Nello straining si ha un’unica azione ostile limitata nel tempo con effetti permanenti» spiega l’esperta.
A ciò poi si aggiungono i danni psicofisici, che nel caso dello straining sono maggiori: «In questo caso, infatti, si ha una situazione di stress forzato improvvisa, di gran lunga superiore al cosiddetto stress occupazionale, e inaspettata, che coglie di sorpresa il lavoratore, che non riesce il più delle volte a capire le ragioni degli atteggiamenti. Nel mobbing, invece, si il cosiddetto effetto “rana bollita”, ovvero le persone sentono di essere prese di mira, perseguite ingiustamente, umiliate, isolate, ma tutti questi atti vengono incalzati nel tempo e spesso si ha un inizio molto blando, confuso con la goliardia o l’esuberanza di un superiore o collega. Solo con il passare dei mesi o degli anni, la persona presa di mira si rende conto che la situazione conflittuale che vive all’interno del luogo di lavoro non è più sopportabile».
Gli effetti deleteri del fenomeno
Come anticipato dall’esperta, gli effetti sono sia di tipo psichico che fisico. Lo straining causa infatti ansia, insonnia, depressione, disturbi dell’umore e abbassamento dell’autostima ma anche problemi fisici come dermatiti e problemi dermatologici in genere, alopecia, disturbi gastrointestinali: «Lo straining, difatti, può essere definito violenza psicologica in quanto gli atti, le parole, le restrizioni, utilizzate, hanno scopo di danneggiare l’altro e di costringerlo ad un comportamento che è contrario alla propria volontà».
Come se ne esce? «Rivolgendosi a professionisti, sia psicologi o psichiatri ma anche avvocati specializzati nel supportare la persona ed aiutarla a recuperare la propria dignità lavorativa».
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