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Cosa vuol dire essere persone intersessuali? L'esperta risponde a tutti i dubbi

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Che cosa vuol dire essere intersessuali? Che cos’è l’intersessualità? Dubbi che sorgono perché questo è un argomento ancora poco noto, esistono ancora pochi studi scientifici e le persone intersex tendono a non parlarne. Non a caso, ancora oggi la definizione di questo termine è molto discussa e dibattuta.

Intersessualità, che cos’è e com’è dibattuta oggi

Cerchiamo quindi di fare chiarezza con l’aiuto di un’esperta: «Il termine intersessualità viene usato per riferirsi a chi ha caratteristiche sessuali non definibili né come esclusivamente maschili né come femminili. In medicina, l’intersessualità è definita come un’anomalia sessuale che può riguardare i cromosomi sessuali, i genitali e/o i caratteri sessuali secondari, può essere sintomatica o asintomatica» spiega la dottoressa Sabrina Germi, psicologa di MioDottore.

Ovviamente, l’intersessualità non è una malattia mentale ma un disturbo fisico, una sorta di disordine nelle componenti sessuali «quindi a livello genetico, gonadico, ormonale, fenotipico, e in quanto tale può essere “corretto” ed eliminato attraverso la chirurgia. Per tutta la metà del ‘900, e ancora fino a pochi anni fa in alcuni Stati, la soluzione alla condizione intersessuale era solo quella di effettuare interventi di chirurgia genitale precoci di correzione e normalizzazione con fini quasi esclusivamente estetici. Ovviamente questa necessità era legata ad una cultura sessista e omofobica dell’epoca, perché è evidente che l’orientamento sessuale di una persona non può essere definito e semplificato in un confezionamento estetico del sesso. Un importante risultato per i diritti delle persone intersessuali è arrivato a ottobre 2020, con la prima dichiarazione congiunta di 33 Paesi al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, nella quale si chiede la protezione e la non discriminazione delle persone “intersessuali”».

Ad oggi le persone intersessuali sono circa 30.000.000, fra lo 0,5% e l’1,7% della popolazione mondiale ed è una condizione che si può scoprire durante l’adolescenza o anche in età adulta, per esempio dopo essersi sottoposti a degli esami sulla fertilità. Può anche capitare che non si scopra mai di essere intersessuali.

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Cosa vuol dire essere intersex a livello familiare, psicologico e sociale

Ancora oggi, essere una persona intersessuale non è facile. Prima di tutto, all’interno del proprio nucleo famigliare: può infatti capitare che, pur essendo a conoscenza della situazione, in famiglia non se ne parli: «Spesso l’intersessualità è percepita come una patologia e quello che una madre o un padre spesso chiede ai dottori è di “curare” il figlio e di “normalizzare” la sua condizione. Discutere di sessualità è ancora un tabù e per molti affrontare le problematiche concernenti organi genitali e riproduttivi dei propri figli è particolarmente arduo. Per questo, molti genitori preferiscono mantenere il “segreto” circa la loro condizione anche con i figli. Tutto ciò ha certamente delle ripercussioni sui figli, sul loro senso di adeguatezza, accettazione e vergogna».

In secondo aspetto è psicologico. Il fatto che la società spesso riconosca soltanto due sessi crea grande confusione e disagio in queste persone. Non solo ma «gli studi hanno messo in evidenza come molti bambini intersex in età adolescenziale o adulta non si riconoscono con l’identità sessuale ricostruita e con l’identità di genere acquisita da piccoli, sviluppando una disforia di genere e definendosi transgender. La loro identità di genere non corrisponde con il sesso biologico, con gravi conseguenze psicologiche a lungo termine, come disturbi da stress post-traumatico». Infine il problema è a livello sociale: l’intersessualità è ancora poco conosciuta e quindi compresa, per questo molte persone intersex sono anche rifiutate dalla società stessa ma anche dalla famiglia, come spiega l’esperta.

Accettazione di se stessi e come approcciare l’intersessualità

Quindi come comportarsi? Prima di tutto, come spiega la dottoressa Germi, è fondamentale offrire un sostegno medico e psicologico alla famiglia, così da non vivere una situazione traumatizzante per nessuno. Poi «raccontare al bambino la verità, in modo chiaro, semplice e adeguato all’età e al livello di sviluppo, così da aumentare il livello di fiducia fra figlio e genitori, oltre a ridurre nel bimbo il senso di inadeguatezza e solitudine e aumentare la consapevolezza rispetto alla propria salute. Nascondere qualsiasi informazione trasmette ai più piccoli l’idea che si tratti di qualcosa di sbagliato, di cui vergognarsi e sentirsi in colpa, con ricadute sull’immagine corporea e sessuale di sé. L’informazione e la conoscenza aiutano a ridurre l’ansia e a costruire un’identità più solida. Accettare sé stessi significa riconoscere che l’intersessualità è una variante naturale della diversità umana, non un problema da “risolvere”».

Per questo può essere d’aiuto rivolgersi a gruppi di sostegno, anche per uscire dall’isolamento e rendersi conto che non si è soli: «Per quanto riguarda le interazioni sociali, non è necessario condividere informazioni personali con chiunque. Imparare a dire “no” a domande invasive aiuta a proteggere il proprio benessere, così come il frequentare persone e contesti che accettano la diversità aiuta a sentirsi valorizzati e rispettati. Da ultimo, il supporto psicologico può aiutare a elaborare il livello di sofferenza emotiva, il senso di vergogna, discriminazione, isolamento sociale, emarginazione. Fattori questi che generano vissuti di minaccia e mancanza di sicurezza, con conseguente maggiore rischio di manifestare dipendenze e comportamenti a rischio». Fondamentale non solo il sostegno psicologico ma anche essere meno critici verso se stessi: più si è empatici con se stessi, più si possono costruire relazioni interpersonali migliori.

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